Il buon proposito di non fare propositi

Il Natale era bello quando credevo con forza in Babbo Natale, quando la sera del 24 con la pancia piena di torrone e pandoro – sì, sono del team pandoro, problemi?! – preparavo il solito piattino con i biscotti e il bicchiere di latte per il caro Babbo.
Forse, col senno di poi, sarebbe stato meglio lasciargli una bella caraffa di gin lemon, perché l’unico modo per sopravvivere alle festività è quella di essere ubriache o anche solo vagamente stordite per il maggior tempo possibile.
Insomma, era bello avere quel magico appuntamento, andare a dormire con quella sana ansietta – quella che adesso provo prima di un appuntamento con qualcuno se mi piace! -a solleticare la bocca dello stomaco, coprendomi fin sopra la testa perché nonostante tutto la solennità della figura di Babbo Natale mi incuteva anche un certo timore. E poi svegliarsi all’alba il mattino seguente, scendere in punta di piedi dal letto e correre a vedere se c’era qualcosa sotto l’albero. Non dimenticherò mai la gioia che mi è esplosa in petto nel trovare la casa di Barbie infiocchettata.
Quando poi è arrivato il tempo di prendere consapevolezza della triste realtà, ovvero che a mangiare il mio spuntino e a lasciare i regali erano i miei, il Natale si è un po’ spento.
Mi piace ancora molto, sì, ma è inevitabilmente meno magico.
Al posto delle letterine ho iniziato a scrivere i desideri, che ben presto si sono trasformati in buoni propositi. Ogni anno stilavo liste piene zeppe di nobili intenti da attuare nell’immediato futuro. Ovviamente la maggior parte rimaneva sulla carta, pronti per essere riciclati l’anno successivo. Così ho iniziato a concentrarmi su pochi obiettivi, ma mi ripromettevo di portarli a compimento. Credo che il buon proposito ad essere rimasto più a lungo sulla mia lista sia stato – manco a dirlo – “andare a Parigi”.
Ma anche “innamorarmi”. E “prendere la patente”.
E ce l’ho fatta a realizzarli tutti e tre. Anche l’anno scorso non mi sono risparmiata.
Di sbagli, in questo anno che se possibile è stato anche peggio del precedente, ne ho fatti a non finire e ho il tragico presentimento di non aver ancora esaurito le riserve, quindi spero di dar sfogo alla mia vena creativa in queste ultime settimane dell’anno perché poi vorrei rimettermi in carreggiata e iniziare anche a combinare qualcosa di azzeccato, almeno una volta ogni tanto.
Per quel che riguarda la disoccupazione non mi lamento nemmeno troppo. Non sono ricca e molto probabilmente non lo diventerò di qui a breve – specie se non compro mai neanche un Gratta&Vinci – non ho trovato il lavoro della vita, quello da tenersi stretto e ringraziare il cielo ogni giorno, ma non sto nemmeno con le mani in mano. Anzi, non ho mai un minuto libero nella giornata e di questo sono sempre estremamente felice, perché ho il costante bisogno di tenermi impegnata anche solo per sentire che sì, sto vivendo. Ho fatto e sto facendo esperienze che mi hanno portata a conoscere persone nuove, alcune piacevoli scoperte.
E la felicità? C’è stato qualche momento in cui lo sono stata, felice intendo. In primis il giorno della mia laurea, quando ho visto i miei parenti e i miei amici felici per me. Quindi di riflesso lo sono stata anche io, perché senza di loro non avrebbe avuto lo stesso significato. Sono stata felice tra le braccia di Amici senza i quali non riesco più ad immaginare la mia vita.
Sono stata felice da piangere sotto la Tour Eiffel, quando a mezzanotte del 4 ottobre si è illuminata ed è stata la prima cosa che i miei occhi da venticinquenne hanno visto. E ho pensato “questo momento è perfetto” quindi forse era anche per quello che piangevo come una perfetta idiota, senza riuscire a smettere. Poi ci sono stati momenti in cui ho creduto di essere felice e altri in cui ho sperato di poterlo essere. Ma in qualche parte dentro di me covavo la certezza di sbagliare, solo che desideravo così tanto che ad essere sbagliata fosse solo quella convinzione da scegliere deliberatamente di dare ascolto più alla speranza che non alla consapevolezza. C’è stato un attimo, un attimo soltanto, in cui ero sdraiata a guardare le crepe su un soffitto che volevo mi diventasse familiare, nel quale mi sono chiesta “sarà così rinnamorarsi?” e la risposta è arrivata poco più tardi, come quei sogni che al mattino dimentichi e poi ti tornano in mente a poco a poco nel corso della giornata.
Quanto ho sbagliato in questi 366 giorni (e qui la mia amica Diletta direbbe “anno bisesto, anno funesto“). E quanto mi sono sentita sbagliata io, certe volte. Ma sono questa, che posso fare? Se pure per cento persone a cui non vado bene, ce ne sono cinque ad apprezzarmi così come sono, ben venga. Del resto non sono mai stata un portento in matematica, tanto meno nei rapporti umani. Sono piuttosto stanca di stare lì a scervellarmi, chiedendomi perché non piaccio ad una determinata persona o cos’ho che non va. Il mondo è un posto troppo grande e troppo pieno di gente in gamba ancora da incontrare per concentrarsi su chi semplicemente ha una visione delle cose e priorità inconciliabili con le mie. Per quanto mettersi in discussione sia indispensabile per crescere, arriva un momento in cui dire basta o almeno prendersi una pausa. Ecco, io voglio la mia pausa.
Ma voglio anche non fare previsioni, per la prima volta da quando ho memoria.
Un anno fa speravo con tutta me stessa che l’anno alle porte fosse migliore e mi risollevasse, forse pervasa dall’entusiasmo del traguardo della laurea che mi sembrava più un punto di partenza. Invece è stato un punto e basta. Un bel punto. Un bel “The End” scintillante in bianco, come in quei film degli anni Cinquanta che mi piacciono tanto. La fine ufficiale dell’adolescenza in ogni sua declinazione possibile. Speravo che il 2016 si palesasse in tutto il suo splendore solo perché stupidamente ero convinta di meritarmelo.
Come se il Karma me lo dovesse e mi avesse messo in mano un buono omaggio valido per 365 giorni giusti. Ma essere stata catapultata senza troppi complimenti nel mondo degli adulti, in questo Far West selvaggio, ho capito che il Karma non sa nemmeno cosa siano i regali. Quindi non me ne starò ad aspettare che il 2017 sia migliore, magnifico o che mi porti ciò che penso di meritare. Me lo dovrò prendere da sola, come del resto ho fatto con le cose importanti. Non posso più permettermi di lasciarmi in balia degli eventi, devo sgomitare perché so cosa voglio, devo solo mettere bene a punto il piano migliore per tentare di prendermelo. Sono consapevole di non poter controllare tutto, ma ho capito quanto le scelte cambino la direzione di un qualsiasi cammino. Quindi sceglierò.
Sceglierò di essere chi voglio essere e se chi io sono spaventa gli animi più indecisi non potrò dispiacermene.
Sceglierò di non nascondere più nemmeno un briciolo della mia persona, perché chi mi ama saprà farlo ancora di più se riuscirò ad essere la migliore versione possibile di me.
E perché alla fine andare a dormire stanca ma con la sensazione di non aver sprecato nemmeno un minuto della mia giornata mi dà quella confortevole sicurezza che sì, il tempo passa, ma se lo impiego in modo costruttivo la cosa non mi fa più tanta paura.

 

 

Rispondi

Inserisci i tuoi dati qui sotto o clicca su un'icona per effettuare l'accesso:

Logo di WordPress.com

Stai commentando usando il tuo account WordPress.com. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto Twitter

Stai commentando usando il tuo account Twitter. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto di Facebook

Stai commentando usando il tuo account Facebook. Chiudi sessione /  Modifica )

Connessione a %s...