Il capitolo sui perché

La consequenzialità degli eventi mi ha sempre fatto vedere la vita come una specie di bobina massiccia, una grande pellicola di tante ore senza intervalli pubblicitari né momenti morti, un’unica grande inquadratura, un piano sequenza che Hitchcock ne sarebbe andato pazzo.
Non ho mai sentito la necessità di sancire la fine o l’inizio di qualcosa, nonostante la mia vita – come quella di tutti – sia un continuo inizio-fine. Il confine di demarcazione tra l’inizio e la fine è segnato da quello che chiamo capitolo.
I capitoli sono gli attimi cruciali. Quelli di cambiamento, quelli in cui, se per l’appunto la vita fosse un film o un libro, succederebbe qualcosa di un’importanza tale da rendere necessario un gesto, anche soltanto simbolico, che sancisca la solennità del momento.
Un piatto rotto, uno schiaffo in piena faccia, un biglietto aereo, una lettera lasciata su uno zerbino.
Io credo che a volte non si possa andare davvero avanti senza un capitolo.
Quindi se mi rendo conto che è arrivato il momento di mettere un bel punto e l’unico modo per farlo è guardare altrove avendo cura di non lasciare indietro parti di me, improvviso un capitolo e gli do anche un nome.
L’ultimo lo avevo chiamato “i perché” ed era un elenco straripante di perché più o meno legati tra loro.
Perché quel giorno non sono rimasta a Roma invece di salire su quell’aereo?
Perché un pezzo di soffitto non si è scaraventato sulla tua testa facendo frittelle di te?
Perché non seguo mai i miei ottimi consigli?
Perché sono così arrabbiata?
Perché non posso cancellare tutto, tipo te, l’istante in cui t’ho incontrato e quello in cui t’ho parlato e il 27 ottobre ma anche tutti i giorni che sono seguiti dopo?

Cose così.
Poi però il tempo passa, i capitoli pure e vien voglia di scriverne altri, magari meno vuoti.
Perché alla fine le domande, specie quelle destinate a restare senza risposta, sembrano dei macigni ma in realtà hanno il peso di un palloncino. Come chi li suscita sono ipocriti, vogliono essere a tutti i costi qualcosa ma non sono niente. Anzi. Più affollano la mente, più si sforzano di essere, più la potenza del loro niente si manifesta violentemente, travolgendo le sfortunate presenze che in quel momento gravitano nella loro orbita.
E io questo lo sapevo, l’ho sempre saputo, anche mentre mi lasciavo trascinare e mi lasciavo infettare da tutti quegli inutili punti di domanda.
Un giorno tutto questo mi passerà- passa sempre tutto e passerai pure tu che sei leggero e inconsistente come il venticello stupido della sera – e allora forse scriverà un altro capitolo con meno rabbia e meno perché.
Mi piace sempre tanto avere ragione.
Poi mi piace quando una mattina mi sveglio e mi accorgo che sul calendario c’è la pagina con il mese vecchio ancora da cambiare, mi guardo allo specchio e penso che vorrei proprio farmi la frangetta e vedere se stavolta ce la faccio a somigliare ad una francese del Marais.
Niente più frustrazioni, nessun barlume di rabbia. Nessuna nostalgia, nessuna domanda.
I perché sono andati, sono diventati come un nome tra tanti, insignificanti.
E sono proprio felice, perché non c’è cosa più frustrante del sentire la mancanza di qualcosa o di qualcuno che sai di non rivolere indietro.
Quindi forse giro il mese sul calendario pure se non ci ho segnato niente sopra, nemmeno un compleanno.
Chissà, forse stavolta la taglio la frangetta pure se non somiglierò mai ad una francese del Marais e mi mangerò le mani. Forse invece no.
Intanto sono riuscita finalmente ad accorciare i capelli di dieci centimetri buoni. Ah, e sono più o meno bionda.
In fondo a volte basta davvero poco per iniziare capitoli nuovi.

 

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