Tre

Tre anni fa, un po’ per noia e un po’ per gioco, ho deciso di aprire Giulia, uova e farina. Il nome l’avevo sputato fuori così senza pensarci troppo, in cinque minuti. Una roba improvvisata che poi però non ho mai voluto cambiare. Ben più difficile è stato riempire la sezione About, probabilmente il post più corto di tutti gli 85 pubblicati finora.
E persino all’inizio, quando l’idea era esclusivamente quella di raccogliere le ricette che continuavo ad inventare e poi a perdere, mi ero concessa di ritagliare uno spazietto in quella sezione che avevo chiamato “Words” e che ora è diventata “Giulia scrive“.
Alla fine si sa, quando hai l’intramontabile sogno la vana speranza di scrivere nella vita (nel senso di venire pagata da uno straccio di qualcuno!) ti abitui all’idea di dover attingere parecchio dalla tua vita privata, dal tuo vissuto, da ciò che ti succede o che succede intorno a te. E oggi, nel secolo della comunicazione immediata, dei social, ti abitui anche all’idea di dover usare i potenti mezzi che la tecnologia mette a disposizione per buttare nel cyberg spazio, il nuovo universo in continua espansione, i cazzi tuoi.
Fondamentalmente è così: i social sono una vetrina, quella in cui si sistema e si espone ciò che si vorrebbe gli altri vedessero o considerassero.
Oggi ripensavo a quanto tempo ci ho messo per fare passi avanti in questo senso. Innanzitutto mi sono serviti anni e anni per accettare che ci metto di meno a scrivere al pc. Ho sempre scritto sulla carta – e continuo a farlo quando posso – per lo più su quaderni con copertine monocromo, quaderni con pagine ora fitte fitte, ora semivuote.
Ma al pc non scrivevo praticamente niente, anche perché nessuno doveva permettersi di leggere le mie cose. A che mi serviva dunque averle dentro un computer? Potevano starsene tranquillamente rinchiuse nei miei preziosi quaderni, ben nascosti negli scaffali della libreria o nel fondo del cassetto della scrivania, quello sempre incasinato.
Poi un giorno ho incontrato qualcuno che, per motivi che tuttora mi sfuggono, si è interessato tanto a quei quaderni. Alle robe che ci buttavo dentro e pure a quelle che ancora erano soltanto nella mia testa a prendere forma. Permettere improvvisamente a qualcuno di leggerle per me è stato come spogliarmi per la prima volta: ero lì, completamente nuda, che consentivo ad un altro essere umano di attraversarmi l’anima, ma soprattutto il cervello.
Il mio contorto, folle, delirante cervello. Croce e delizia.
Non è stato per niente facile e per niente indolore, anzi. Mi ha fatto un male cane e mi ha fatto conoscere una paura con la quale ho dovuto fare i conti per anni: la paura di non essere all’altezza.
Il confronto con terzi mi era sempre mancato, le uniche persone che avevano potuto fare degli apprezzamenti erano gli insegnanti, ma come potevo fidarmi di un giudizio accademico e basta?
Poi però si cresce e ci si apre al cambiamento. Ma per cambiare, cambiare sul serio intendo, per superare dei limiti mentali che sono sempre stati alibi per sentirsi al sicuro, bisogna fare un po’ come con i Mollicci. Affrontarli, sminuirli, ridicolizzarli. E a quel punto colpirli.
Ho capito che il mio desiderio di scrivere per vivere ma soprattutto di vivere per scrivere era di gran lunga superiore alla paura di non essere in grado di farlo.
Zac. Così le pagine di quei quaderni sono diventati aeroplani di carta che viaggiavano, così ho letto cose mie mie davanti a persone semi sconosciute, così ho regalato poesie, così ho scritto lettere che ho persino spedito.
Poi è arrivata l’università e non ero più una marziana, ho trovato persone che avevano quaderni chiusi in dei cassetti, persone con cui pur spogliandomi non mi sono mai sentita nuda, vulnerabile o spaventata. E li ho lasciati piroettare nei sentieri della mia mente, perché ovunque passavano seminavano qualcosa ed era – o forse dovrei dire è, perché continuano a farlo ancora oggi – qualcosa di bello, di stimolante, di vivo.
Insomma, persino questo stupido blog che oggi compie tre anni è figlio di una loro idea, un minuscolo blog dove nell’ultimo anno non ho fatto che sputare fuori cose mie mie – e che con la cucina hanno poco a che fare – trasformandolo una sorta di pagina infinita di un quaderno virtuale con la copertina monocromo. Ho imparato a scrivere al computer e a volte mi sento in colpa perché mi sembra di tradire l’essenza originaria della scrittura. Quella che per me è sempre stata fatta di inchiostro di Bic e fogli a righe.
Però poi penso che bisogna evolversi, che il cambiamento è una catena consequenziale di eventi, che l’evento successivo contiene in sé anche quello precedente. Dunque allo stesso modo la pagina di un blog conserva tutte le Bic e tutte le pagine che usate prima.
Sono pienamente consapevole di non essere una scrittrice, una di quelle con un seguito di lettori che vada oltre gli amici e qualche blogger (anzi, sono abbastanza sicura che questi pipponi mentali manco tutti i miei più cari amici se li leggano, ma sono buona e vi perdono, solo dimenticatevi di essere citati nei ringraziamenti del mio primo romanzo!) e con un editore alle calcagna a ricordare l’incombenza delle scadenze.
E non so se sarà mai così, con ogni probabilità no, ma adesso in questo preciso momento della vita non mi importa granché. Mi sento comunque fortunata ad essere stata ed essere ancora animata da un amore tanto grande, un qualcosa di straordinario che per me è diventato come un sesto senso attraverso il quale percepire il mondo, gli altri, la vita, me stessa. Ed è una cosa mia, mia e basta, che nessuno al di fuori può influenzare o scalfire.
Forse mi entusiasmo per niente, forse sono davvero la più scema di tutti, io, che mi professo tanto intelligente. Ma di una cosa sono sicura. Ci sono cose che ci teniamo strette e vicine, se non per il semplice motivo che già il solo averle vicine ci dà come l’impressione che la vita non potrà essere infelice.
Io sono contenta che per me tra queste cose ci siano le Bic, i fogli a righe e uno stupido, minuscolo blog.

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