Diari improvvisati e parole in fila

Non ho mai avuto un diario. Ci ho provato quando ero piccola ma, anche in questo, sono sempre stata incredibilmente incostante. Mi stancavo subito e poi ho la pessima abitudine di scrivere in momenti in cui dovrei fare altro, come dormire per esempio.
Che poi ne ho avuti pure parecchi di diari. C’era quello di Barbie Principessa, un tripudio di rosa e cuori – a ripensarci ora, forse il più bel diario mai posseduto!– quello jeansato della Onyx perché, cosa volete farci, sono stata un’adolescente made in anni ’90 anche io, quello di Diddl con le pagine profumate, quello monocromo con una copertina nera in perfetta pendant con il mio rodimento di culo perenne tra i 15 e i 17.
Ma nonostante questo tripudio di pagine e paginette, non ho mai scritto giorno per giorno quello che mi capitava. Alla Bridget Jones, per capirci.
Sono stata anche mesi senza scrivere nulla, specie quei mesi in cui ero felice da fare schifo, perché ho capito che sì, più sono infelice, più sono malinconica, più sono triste e più scrivo cose intelligentie io vorrei scrivere solo cose intelligenti, un po’ come tutti del resto!
Dunque considerando che il sogno della mia vita è sempre stato quello di diventare una scrittrice, mi sto praticamente auto condannando ad una vita di infelicità? Non lo so. Facciamo che prima tenterò di raggiungere la gloria e poi mi porrò l’interrogativo.
In ogni caso, a volte, sin da quando ero piccola, ho questi momenti in cui tutto ciò di cui ho bisogno è un foglio per vomitarci dentro il mare di parole che mi affollano la testa. Perché se le lascio nella testa non fanno che rumore, un rumore pazzesco e irritante. Invece sul foglio riesco a metterle in fila. E quando sono lì, in fila per l’appunto, finalmente riesco a trovare un capo e una coda, a districare quel gomitolo, a dare loro un senso. Non trovo altro modo. Quindi mi armo di carta e penna.
Anche perché non è che lo decido io il momento. Macché.
Di solito mi succede di notte, quando i pensieri non mi mollano, quando sono troppo stanca per opporre resistenza a quei ricordi che durante il giorno scaccio via come fossero mosche fastidiose. Ma anche sui treni. Ah, sui treni poi mi abbandono a certi flussi di coscienza che potrei riempirci papiri interi.
Fatto sta che ho questi diari improvvisati – perché oggi non ho più diari come quello di Barbie Principessa con tanto di lucchetto, no, al massimo qualche agenda con l’elastico – straripanti di parole e che continuo a comprarne, per vomitarci altre parole ancora.
E alcune volte le rileggo, mi ci perdo e mi ci ritrovo. Sì, mi ci ritrovo proprio io:
Giù- la persona che pensa, esamina, elabora, viviseziona tutto; -lia quella che dice tante cose ma ne scrive ancora di più perché sui fogli tutto diventa più ingombrante.
Giulia polemica, Giulia con le risposte affilate e taglienti peggio dei coltelli Miracle Blade, Giulia che non perdona, Giulia arrabbiata, Giulia che strilla, Giulia che non sa piangere però mica è tanto vero alla fine, Giulia che vive di “cosa sarebbe successo se“, Giulia che poi “se, se, se, se non è successo ora non succederà mai più“, Giulia che non sa stare zitta proprio mai, Giulia che si perde, Giulia che si ritrova, Giulia con gli occhi da personaggio di Tim Burton, Giulia che vuole essere lungimirante e ancora Giulia Giulia Giulia.
Che palle Giulia, chissenefrega Giulia.
Sì, ecco, fondamentalmente che palle. Però purtroppo non so scrivere delle cose che sono fuori di me e anche quando ci provo, alla fine, le trasformo in cose mie: ovvero le cose fuori viste da dentro, cioè da me.
Ed è questo che vorrei ficcare in questa sezione ribattezzata con estrema originalità I diari di Giulia(avanguardia pura!). Anche perché, come chi mi conosce sa, perdo sempre tutto. I diari poi li ficco in scatole che chissà dove finiranno. Magari alcuni vomiti di parole meritano d’essere salvati da qualche parte, magari alcune di quelle parole in fila meritano la loro seconda chance.

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