Si sta come l’elefante dentro il boa constrictor

Era una vita che non mi piazzavo nel letto, con le cuffie, la musica e un liberissimo brainstorming tipo flusso di coscienza. Di solito mi succede con canzoni tristissime e deprimenti, altre volte con canzoni stupende che però sono così belle da deprimermi. Con Guccini mi succede (a me piace tantissimo Guccini, vorrei proprio conoscerlo e berci un bicchiere di vino insieme), infatti lo sto giusto ascoltando. Le canzoni belle, quelle piene di frasi intelligenti e verità che ad ascoltarle pensi “cavolo, è proprio vero” e vorresti averla detta tu una cosa tanto ovvia in un modo per niente scontato, mi riempiono di pensieri così grandi che si incagliano nelle pareti del mio cervello, fanno pressione e sento che vogliono uscire fuori. E fanno un gran casino, impedendomi di fare cose più utili, tipo dormire – ho la sveglia presto domattina, non giudicatemi.
Invece no, c’è una stupida goccia che dalla grondaia cade sulla tettoia del mio portico facendo un rumore immenso e continuo, quindi ho dovuto mettere le cuffie per non sentirla. E pensa pensa pensa, sto qui a scrivere cose così, a pensare che l’inverno deve ancora arrivare e già mi ha stufato, la pioggia mi ha stufato, Roma che si allaga puntualmente ogni anno mi ha stufato. Ho sempre avuto il trauma da ritorno-alla-routine, ma mai come quest’anno. La verità è che non ne posso proprio più, mi sento incastrata nel bel mezzo di qualcosa che non ho la certezza mi possa portare davvero dove voglio: un anno fa mi laureavo, ora come mai ci ripenso, e ricordo come mi sono sentita quel giorno. Per tutta la vita, prima di quel momento, mi sono sentita come l’elefante dentro il boa constrictor. Destinati, insieme, ad essere scambiati per un cappello. Non perchè sembro un cappello, ma perchè ho sempre avuto l’impressione di non apparire mai alle persone quella che credo di essere. Nel bene o nel male, non lo so. Però in quei tre anni di università ho capito chi voglio essere, chi voglio diventare, ma soprattutto che non ho motivo di nascondermi dietro fattezze che non sono mie. Per la prima volta, in tutta la mia vita, sono stata bene nei miei panni, per la prima volta sono stata felice di essere me e nessun’altra. Ed ero finalmente consapevole delle mie capacità, finalmente sapevo di essere pronta per il dopo, per questi ultimi due anni di magistrale. Mi sentivo come se fossi arrivata finalmente nella parte finale, quella più stretta, dell’imbuto. E magari è pure vero. Ma quanto mi sta pesando, questo non l’avevo previsto. Quanto è spossante sentirsi carichi, desiderosi di tagliare un altro traguardo ma vedere una strada ancora lunga davanti a sè. Mi pare di avere così tanti progetti, così tante cose da fare – per puro desiderio, non per dovere- ma essere ancora bloccata. Dal momento, dagli impegni, dalla vita vera. Ma allora è così che ci si sente da adulti?
Come l’elefante nel boa? Destinato ad essere scambiato per un cappello, consapevole di essere destinato a morire sciolto dai succhi gastrici ma che magari, nell’attesa, spera comunque di cavarsela?

Forse non voglio saperlo.

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